EINSTEIN ON THE BEACH and MINIMALISM

Einstein on the Beach è un’opera scritta nel 1976 da Philip Glass, e diretta dallo scenografo e artista Robert Wilson

La foto che li ritrae insieme, realizzata da Robert Mapplethorpe, in una posizione simile e dentro una geometria molto precisa, ci rimanda all’opera, dove spesso due persone si trovano affiancate a compiere gli stessi gesti.

L’opera contiene i testi di Christopher Knowles, Samuel M. Johnson. Le coreografie (le figurazioni solistiche e d’insieme del balletto), sono di Lucinda Childs.

È un’opera in quattro atti, per un ensemble di danza, coro e solisti.
Con una durata di cinque ore, è la prima e più lunga opera di Philip Glass.
Data la natura della musica (lenta ripetizione di piccoli elementi, evoluzione e cambiamenti molto graduali, motivi ricorrenti) e la durata, Robert Wilson pensò di rendere al pubblico la libertà di entrare e uscire durante intervalli chiamati knee (ginocchia-articolazioni). Peccato che questi intermezzi diventassero parti talmante liriche da tenere inchiodato alla poltrona gli spettatori.

Lo spettacolo riprende in forma simbolica differenti aspetti della vita a e delle esperienze umane e scentifiche di Einstein, dalle ricerche sul tempo, lo spazio e la luce, alle prese di posizione sociali e politiche sull’uguaglianza razziale, i diritti delle donne, il pacifismo e soprattutto il pericolo della proliferazione nucleare.

IL MINIMALISMO

Sia Philip Glass che Robert Wilson, come la stessa loro opera oggetto del nostro studio possono esser considerati esponenti della corrente artistica detta « Minimalismo« . La « minimal art » negli anni sessanta fu protagonista di un radicale cambiamento del clima artistico, in disaccordo da un lato, con l’arte pop, che utilizzava le immagini della comunicazione di massa e le tecniche di riproduzione tipografica come mezzo espressivo (Andy Warhol, Robert Lichtenstein); dall’altro con la gestualità se non dell’egocentrismo romantico dell’espressionismo astratto (Jackson Pollock).

La corrente minimalista torna all’essenza dell’immagine come puro visibile, senza contenuti che vadano oltre a ciò che ci appare. Si riferisce alla riduzione delle immagine all’essenziale, togliendo ogni elemento « inutile ». Come disse l’architetto Mies Van der Rohe, « Less is More », il meno è il più. Altri referenti sono il suprematismo di Kasimir Malevitch, la pittura monocromatica di Ad Reinhardt, le geometrie con colori primari di Piet Mondrian, i riverberi cromatici di Marc Rothko.

Un chiaro riferimento al film Metropolis di Fritz Lang, lo troviamo nella scena degli attori incasellati in una griglia quadrata, in controluce su motivi di cerchi e linee orizzontali e quadrate. Una società disumanizzata ha ridotto le persone alla schiavitù del tempo, scandito per gli interessi della produttività capitalista. Ritorniamo alla riflessione di Einstein, solitario sulla spiaggia. Una definizione del tempo, spazio, luce, mmateia devono comunque servire l’uminaità e non renderla schiava o peggio metterla nelle condizioni di autodistruggersi (vedi i finale con il missile e l’esplosione nucleare.